Deduzioni

Lo studio ci propone un estratto di come le componenti ad alta frequenza degli strumenti di una orchestra siano ricchi di contenuto energetico oltre il muro dei 20 kHz, anche se questa caratteristica non è comune a tutti e facile dedurre che anche un pianoforte che mantiene un contenuto energetico di appena lo 0,02 % vede una estensione in frequenza molto elevata che raggiunge i 70 kHz.

Direi che i dati sono più che sufficienti per dire che anche se il contenuto energetico può a volte apparire irrisorio in effetti, si affianca a estensioni di risposta in frequenza notevoli il che porta a considerare questa parte di spettro molto importante ai fini di un corretto ascolto, tanto più che la tecnologia digitale di ripresa e riproduzione oggi sembra non avere limiti se ben applicata e utilizzata.

A questo punto resta da vedere se il nostro sistema uditivo è in grado di apprezzare tutto ciò, per cui affrontiamo il secondo quesito.

Percepiamo le frequenze ultrasoniche, e se si come?

Prima di addentrarci nei meandri del nostro sistema uditivo e bene cercare di capire a grandi linee il modo di funzionamento del cervello umano e dei meccanismi accertati con i quali percepisce lo spazio intorno a noi, alla continua ricerca di quelle anomalie che possono mettere la nostra persona in pericolo. Rumori, luci e odori possono essere interpretati dal cervello come stimoli rassicuranti o indurre ad un particolare stato di attenzione, se il cervello  riscontra una anomalia, qualcosa di non riconosciuto e quindi un possibile pericolo.

Questo comportamento è uno dei meccanismi di base per la salvaguardia della specie, dove di fronte ad una anomalia persistente si attuano inconsciamente sistemi di difesa o fuga.

Già questo modo di funzionamento mette in risalto due elementi basilari sul funzionamento del cervello che sono giunti immutati sino ai giorni nostri: la continua e costante fase di apprendimento del cervello ed una percezione a tre dimensioni dello spazio che ci circonda utilizzando principalmente tre dei cinque sensi: udito, vista e olfatto.

Proviamo a chiarire la situazione cominciando dal secondo elemento individuato, ovvero la percezione tridimensionale dello spazio intorno a noi.

Attraverso l’udito, o meglio al sistema uditivo nel suo insieme composto cioè dalle orecchie e dal cervello stesso, si ha una percezione dello spazio intorno a noi in grado di udire suoni o rumori che ci circondano su di un angolo solido  di 360° ( lo spazio che si irradia in tutte le direzioni possibili intorno a noi).

È come se il cervello scattasse delle ”immagini sonore” dello spazio che ci circonda analizzando i soggetti che di volta in volta sono presenti nelle immagini stesse, utilizzando all’occorrenza anche altri sensi.

Questa capacità infatti, viene spesso supportata anche  dalla vista che riesce a focalizzare l’attenzione su di un angolo, di maggiore attenzione dell’occhio, di circa 55°. Ma per orientare lo sguardo nella direzione giusta c’è bisogno che il sistema uditivo dia una indicazione sulla provenienza del suono o rumore anomalo, mettendo quindi il sistema uditivo al primo posto in una ipotetica scala di valori dei cinque sensi, seguito dalla vista e dall’olfatto.

Possiamo affermare che la necessità di conoscere lo spazio che ci circonda è un elemento basilare per il cervello, tanto che l’udito è l’unico dei cinque sensi che non va mai a dormire !

Abbiamo detto poco sopra che il cervello è in continuo e costante apprendimento. Conoscere quello che c’è fuori implica una capacità di apprendimento costante e continua dove ogni suono o rumore viene associato ad un oggetto o una causa che lo ha prodotto. Per capire ed analizzare le migliaia di stimoli sonori che lo raggiungono, il cervello archivia la struttura del suono o del rumore catalogandolo. In questo modo si creano degli archivi collegati tra loro che permettono, una volta riconosciuto il suono o rumore, di dare una prima classificazione del tipo:  pericoloso – non pericoloso.

Vediamo di fare un piccolo esempio prendendo il rumore dello stridore della gomma sull’asfalto. Di solito lo si associa ad una frenata brusca il che pone di per se uno stato di attenzione come analisi di rumore, ma va sempre integrato  con altri sensi ed archivi. Se sono in strada quel rumore genera una attenzione particolare perché viene percepito come un pericolo, ma tutto si trasforma se invece di essere in mezzo alla strada sono nelle prime file di una  gradinata e magari sto assistendo ad uno spettacolo acrobatico di auto, in tutta sicurezza.

Questo costante e continuo apprendimento ed analisi inizia sin dai primi giorni di vita e termina il giorno della nostra dipartita. Ma come e cosa andiamo ad archiviare e codificare.

Il nostro cervello archivia in modo differente in funzione della natura dello stimolo sonoro, se è una voce umana o uno strumento  musicale possiamo dire, semplificando, che archivia lo spettro armonico con i relativi livelli di energia delle armoniche, oltre ai tempi di attacco. Anche i rumori sono trattati allo stesso modo, ponendo cioè grande attenzione ai tempi di attacco e alla distribuzione energetica dello spettro che non può soffermarsi sulle armoniche, che in un rumore sono assenti.

Questo modo di analisi viene definito “timbro o sigillo” che non ha nulla a che vedere con il termine di timbrica, ma deve essere interpretato proprio come sigillo, che lega in modo indissolubile quel timbro (analisi spettrale e tempo di attacco) ad un oggetto sonoro. Per capirne bene il funzionamento possiamo far riferimento al timbro che ognuno di noi da alla voce della mamma,  il timbro ad essa associato è unico ed inconfondibile non solo quando ci parla in modo diretto ma anche se grida o canta, se la sentiamo al telefono o peggio al citofono (affetto di solito da una larghezza di banda molto ristretta ) riusciamo sempre a riconoscerla grazie alla grande capacità di analisi e confronto dei vari archivi del nostro cervello.

Questo modo di elaborare gli stimoli sonori apre una grande porta verso le complesse operazioni che si svolgono subito dopo l’Organo del Corti ospitato nella Coclea, quando cioè la vibrazione che viaggia all’interno dell’orecchio si trasforma in una serie di impulsi elettrici che raggiunge la corteccia celebrale.

Infatti si conoscono bene i meccanismi e le funzioni che svolgono i singoli componenti dell’orecchio, ma da quel punto in poi tutto è frutto di ipotesi o teorie non suffragate dal conforto scientifico.

In effetti capire i meccanismi, i legami tra le varie memorie, le neuro scienze hanno  fatto passi da gigante negli ultimi quindici anni aprendo, con rigore scientifico, nuove strade verso la comprensione di come funzioni quella macchina unica ed eccezionale che è il cervello.

Bene prima di presentarvi uno dei lavori più interessanti per l’accertamento di come  e se il cervello percepisca le frequenze ultrasoniche è bene fare un piccolo riassunto di come funziona l’orecchio umano.

Figura A – L’immagine rappresenta il lavoro di separazione ed accoppiamento degli infiniti suoni che raggiungono l’orecchio. le orecchie insieme al cervello accoppiano questi suoni separati confrontandoli con i dati presenti in archivio

Per rendere semplice la comprensione anche a chi non è particolarmente ferrato in materia possiamo analizzare la figura A  che rappresenta in modo schematico un orecchio umano.

Gli stimoli sonori del mondo esterno vengono raccolti dal padiglione esterno e convogliati nel condotto uditivo; ricordo che ogni suono o rumore porta in se e con se una gran quantità di frequenze che viaggiano insieme in una onda di pressione che le contiene tutte. Quindi ogni stimolo sonoro identificato in una onda di pressione contiene al suo interno una gran quantità di frequenze. Anche se non ce ne accorgiamo ogni istante possiamo essere raggiunti da migliaia di stimoli sonori, con il loro spettri di frequenze, che viaggiano tutti verso il timpano.

Semplificando possiamo dire che un attimo prima di colpire la membrana del timpano tutte queste onde di pressione si fondono in unica onda che genera la vibrazione dello stesso, mettendo in moto la trasmissione di questa vibrazione lungo le componenti dell’orecchio interno che giunge sino alla Coclea dove all’interno ci sono le cilia dell’Organo del Corti. In pratica la Coclea è un condotto rastremato lungo il quale viaggia la vibrazione che ricordo essere la fusione delle varie onde di pressione avvenuta un attimo prima di colpire la membrana del timpano.

Lungo la Coclea sono distribuite per tutta la sua lunghezza circa 16.000 ricettori ; ogni ricettore è collegato in un numero varabile di cilia  che oscilla dalle 50 alle 100 cellule ciliate per ricettore.

Ognuna delle quali ha la capacità di risuonare ad una determinata frequenza, se all’interno della vibrazione è presente quella frequenza la ciglia “entra in risonanza” inviando uno stimolo elettrico ad alcune cellule associate alla cilia poste in determinate aree della corteccia celebrale.

Per capirne il funzionamento possiamo fare un paragone con il senso della vista. Se osserviamo una linea verticale, l’immagine che si imprime sulla retina, va ad attivare una determinata cellula posta sulla corteccia celebrale visiva. Quella cellula non analizza l’oggetto che delinea la linea verticale, se è cioè una matita o un lampione non è chiamata a riconoscere l’oggetto, ma a contribuire alla sua definizione, inviando un segnale al cervello che dice semplicemente che quella linea o soggetto “è verticale” punto. Allo stesso modo ci sono altre cellule dedicate per le linee orizzontali, altre per l’identificare i colori, le superfici e via di questo passo.

Questa analisi dettagliata che parte dalle fondamenta degli elementi, consente di avere aree del cervello con elevati livelli di specializzazioni (il riconoscimento della posizione verticale di un oggetto visivo , il colore, ect.).

Tornando agli stimoli sonori possiamo affermare che in ogni istante sono prodotti migliaia di stimoli elettrici a differenti frequenze che possono anche  nel caso della musica e dei rumori, superare i confini della nostra banda audio udibile.

Ma come associare tutti questi dati con le sorgenti sonore, come è possibile e soprattutto quale meccanismo intercorre per ricostruire correttamente  questo immenso puzzle.

Immaginate quale grandiosa opera di riconoscimento e classificazione deve esserci alle spalle, tutta finalizzata al raggiungimento di un unico risultato: la continua ricerca delle anomalie!

Infatti quelle singole frequenze vengono confrontare con l’archivio dei timbri, accoppiate tra loro ed una volta riconosciute e ricostruite, messe in secondo piano. Solo quando qualche “tessera del puzzle” non trova una valida collocazione fa si che il cervello raccolga le sue energie par definirne la natura, capire da cosa sia generata, facendo anche analisi integrate con gli altri sensi e al limite delle supposizioni.

È quello che accade quando si ascolta, dal nostro impianto, un rumore in una registrazione di musica classica dove non abbiamo il supporto della vista, perché li davanti a noi c’è una illusione e non gli esecutori veri; percepiamo un rumore “stano” e se non riusciamo a catalogarlo subito andiamo avanti con le ipotesi visto che siamo in assenza della possibilità di acquisire maggiori informazioni per trasformare quella ipotesi in certezza.

La specializzazione delle cellule della corteccia celebrale ha permesso l’identificazione di aree specifiche dedicate agli altri sensi, allo sviluppo della parola, dei gesti motori e molto altro.