Quali limiti sono spesso presenti nei nostri impianti audio?

Se per il momento mettiamo da parte le considerazioni fatte or ora sul nostro sistema uditivo, possiamo evidenziare come sia auspicabile che anche il nostro impianto audio sia in grado di riprodurre con la stessa fedeltà il suono originale, anche per le frequenze ultrasoniche. Questo nel cercare di rispettare quel principio di base  per il quale il riferimento al quale ci rivogiamo è dato dallo strumento vero, dal rispetto del timbro originale.

Per fare questo in modo corretto oltre ai file di musica ad alta definizione il nostro impianto necessita di un sistema di riproduzione in grado di restituire fedelmente quel segnale registrato, anche in banda ultrasonica.

Ma sovente ci si imbatte in alcuni blocchi, potremo definirli di hardware, che limitano fortemente la qualità della riproduzione spesso al di fuori della volontà dell’audiofilo e che sono frutto di scelte progettuali fatte da altri.

Si sa che il suono del nostro sistema è pesantemente influenzato, nel risultato finale, dal componente della catena di ascolto dal peggior suono (nella catena di ascolto si parte dalla sorgente per finire all’ambiente) di solito generato da limiti a volte ben noti.

Partendo dalla fine della catena possiamo evidenziare come un ambiente troppo assorbente o al contrario troppo riverberante siano due elementi che alterano in modo sensibile la parte alta dello spettro.

Così come non tutti i tweeter sono capaci di risposte che possano salire con scioltezza e regolarità verso le frequenze ultrasoniche, trovando limiti soprattutto nei materiali con i quali sono costruiti.

I tweeter più nobili, sotto questo punto di vista, raggiungono con buona regolarità le frequenze limite di 40-50 kHz, ma capita più sovente di imbattersi in componenti dalla cupola metallica, in alluminio o titanio, che risuonano a 22-25 kHz mostrando a quella frequenza un picco di esaltazione nella risposta di parecchi dB, seguito inesorabilmente da un profondo crollo della risposta stessa. Un andamento di questo tipo, oltre a chiudere inesorabilmente la porta alla possibilità di avere in ambiente anche le frequenze altissime, ne penalizza fortemente anche la timbrica e la naturalezza di emissione con una impronta sonora che riporta tutto a quel picco della risposta in frequenza.

Non è un caso se negli anni 70-80, nel pieno dell’audio analogico era in uso, presso gli audiofili giapponesi, posizionare sopra i diffusori dei super tweeter in grado di estendere la risposta in frequenza del diffusore, che a quei tempi non poteva godere della ricerca tecnologica sui materiali che abbiamo oggi. Considerate che da poco erano comparsi i tweeter a cupola e che la maggior parte dei diffusori era dotata di tweeter a cono o a compressione. Questo modo di ascoltare rimase invariato tra gli analogisti anche negli anni successivi, perché la presenza di ultrasuoni riprodotti da super tweeter dava una maggior respiro e ariosità alla riproduzione oltre ad un miglior fuoco dell’immagine sonora.

Lo stesso andamento risonante della risposta si può riscontrare in alcuni stadi di potenza di tipo digitale, che risentendo del carico alle alte frequenze; ne sono condizionati al punto che la risposta in frequenza varia in funzione del modulo di impedenza del tweeter, con un picco di esaltazione della risposta che è del tutto identico a quello dei tweeter a cupola metallica, ma non è costante perché cambiando diffusore, e quindi il modulo di impedenza, cambia anche l’andamento della risposta che per alti valori del modulo può comportarsi come un filtro passa basso ad alta pendenza, troncando di netto la risposta in frequenza.

Un altro elemento che limita la risposta in frequenza sulle alte è di solito il trasformatore di uscita dei finali a valvole che, soprattutto negli apparecchi economici, fa già fatica a restituire il normale spettro audio, figurarsi se si possono permettere di andare oltre. Ma non sono tutti così naturalmente visto che di recente mi sono imbattuto in alcune realizzazioni giapponesi che misure alla mano, riuscivano a salire con estrema disinvoltura oltre il limite dei 20kHz.

Questi riportati sono solo alcuni esempi eclatanti che non sempre sono tenuti in considerazione quando parliamo di sistemi in grado di riprodurre nel modo più corretto l’intero spettro audio, ultrasuoni compresi.

Utilizzando file ad alta risoluzione, almeno in questa fase ci si può imbattere in file riportati ad alta definizione partendo da supporti CD utilizzando un up –sampling o alcune volte addirittura dal vinile (meglio) ma non sempre riportati in modo corretto soprattutto nel rispetto della estensione in frequenza.

Soprattutto quando il materiale di partenza è stato registrato molti anni fa è impensabile pretendere risposte in frequenza estese e regolari.

Ricordate infatti che se un suono manca nella registrazione nessun artificio elettronico potrà mai recuperarlo, se manca è perso per sempre.

Conclusioni

Come sempre in questa serie di lavori, non arrivo a definire delle conclusioni.

Desidero infatti che ogni appassionato si crei una propria idea anche contraria al mio pensiero espresso sempre al di fuori dei dati oggettivi, perché credo che ognuno deve essere messo nelle condizioni di fare scelte autonome e consapevoli.

Spero che gli argomenti trattati in questi articoli possano stimolare la vostra personale attenzione alla verifica di quanto esposto nel verificare se, quanto ancora non dimostrato scientificamente, sia in effetti presente e attivo nelle capacità umane di percepire gli ultrasuoni.